venerdì 30 novembre 2007

Tema: "Le frittelle di pasta di pane"

A casa mia, quando in estate andavamo in montagna, mamma faceva sempre il pane, per tutta la settimana.
C'era una madia nella grande cucina e là dentro, nella buca, in una piccola ciotola di coccio ci stava sempre un panino duro, grigiastro che se lo aprivi puzzava e dentro era appicicoso. Mamma diceva che era il lievito, Chiarina la nostra aiutante tutto -
fare diceva che era il "lèvito" , anzi, " lu lèvitu".
Il venerdì sera, mamma partiva da lì, da quel panino duro che metteva a bagno in acqua tiepida e che una volta sciolto del tutto, mescolava alla farina. Quanta farina? Boh, non chiedetemi troppo , guardavo, ma ancora non osavo pensare a rifare. Quell'impasto cresceva cresceva e al mattino presto mamma iniziava a fare il pane. Allora le mattinate andavano dalle fette di pane con marmellata di prugne e latte di mucca appena munto, alla voce " Dianella è ora di pranzo!". In questo intervallo ci poteva stare di tutto, a seconda del mese poteva essere la rivendita dei giocattoli , piccoli oggetti trafugati da casa o giochini sottratti a ignari fratelli e cugini , oppure poteva essere la raccolta dei funghi o delle nocciole, o interminabili partite a canasta, o il gioco della casetta con i pezzetti di ceramica raccapezzati per strada e scatole del lucido delle scarpe che facevano da tortiera. Oppure ci poteva scappare che qualche cugino grande ti portava a fare un giro sul sidecar, o che si passasse la mattinata semplicemente a chiaccherare sulle scale del portone.
Insomma l'impasto, per l'aggiunta di tanta acqua e tanta farina diventava grande e in breve cominciava a crescere.
Doveva bastare per 10 filoni ! La mamma era così brava e così lesta...Dopo un po' ecco già che li aveva fatti e allineati sopra una tavola lunga e stretta ricoperta con telo bianco : metteva un filone e faceva una piega al telo, così da separare il prossimo, poi un'altra piega e un altro filone, fino a posizionarli tutti , perfetti ed uguali.
Quando questi si erano gonfiati tanto che le pieghe del telo quasi non si vedevano più , arrivava Chiarina alla finestra della cucina , fuori della finestra. Uno di noi reggeva la zanzariera , Chiarina si sistemava in testa uno strofinaccio attorcigliato
come una corona e mamma faceva uscire la tavola pianin pianino fino a che la parte centrale era proprio sulla corona di Chiarina. Lei a questo punto mettendosi una mano alla vita e reggendo con l'altra la tavola , con aria importante e attenta se ne andava giù per la strada, verso il forno.
Intanto che il pane cuoceva veniva il bello.
Mamma lasciava sempre della pasta , un po' da metter via per il li lievito, ma molta altra per fare le pizze e le frittelle.
Le pizze si cuocevano nel forno della cucina a legna che avevamo lì in casa e mamma ne faceva
sempre 3 - 4 : una dopo averla stesa la pizzicava con il pollice e l'indice e ci spiaccicava sopra dei pomodorini maturi dell'orto, qualche giro d'olio e un po' di sale;un' altra era con le cipolle , poche fette sottili di cipolla bianca; un'altra era con il rosmarino e, se c'erano, faceva anche quella con i ciccioli. Le preparava e le metteva nel retrocucina dove c'era un'aria freddina che ne calmava la lievitazione.
Poi arrivava il turno delle fritelle e la cucina magicamente si riempiva : sorelle, fratelli e cugini ,che fino a quel momento si
pensava fossero in capo al mondo, si ammucchiavano intorno alla stufa dova c'era quella padella enorme e nera, piena di olio bollente.
Io ero sempre avanti a tutti , tanto che ancora ho al polso destro una grossa cicatrice fatta da uno schizzo di olio bollente. Bisognava lasciare il passo alla mamma che dalla madia veniva con le frittelle in mano . Ne prendeva una alla volta , la metteva delicatamente nell'olio e appena si formavano quelle grosse bolle la girava , una e più volte fino a farla diventare dorata.
"Chi la vuole con lo zucchero?"
"Io !"
La frittella veniva depositata sopra la carta paglia, ben asciugata e cosparsa di zucchero . C'era chi la piegava e chi la mangiava aperta.
"Chi la vuole con il prosciutto?"
"Io! "
La frittella veniva ben asciugata con la carta paglia e delle belle fette di prosciutto venivano adagiate sulla sua metà e poi rinchiuse nel mezzo. Il grasso del prosciutto, bianchissimo e buonissimo , si scioglieva con il calore della pizza e il primo morso ti ricordava che la vita è bella e buona.
Bisogna sapere che di quel prosciutto oggi non esiste più nemmeno il ricordo : i maiali innanzi tutto erano italiani, ma che dico italiani, erano maiali verchianesi ( ver, verris in latino vuol dire maiale...), questi maiali mangiavano solo ghiande e il pastone che praparavano per loro i contadini era fatto degli avanzi della cucina, soprattutto bucce di
patate e di mele, semola e acqua.
I prosciutti poi erano grandi, con le fette enormi e venivano fatti stagionare per almeno due anni in cantine apposite, areate sapientemente.
Le frittelle sparivano in un baleno e come la cucina si era affollata poco prima così rapidamente si svuotava.
Più tardi, come era partito, tornava il pane dalla finestra , con quella crosta ormai colorata , con quel profumo di miracolo rinnovato. I filoni , una volta tiepidi venivano impilati nella buca della madia , ma chissà come mai ad uno di loro mancava sempre un "culetto" sottratto da una mano piccola ma abile a non scottarsi e a non farsi vedere.
E le pizze ? Quelle si cuocevano dopo pranzo , erano la merenda di bimbi fortunati che non sapevano di esserlo e che non immaginavano neanche di essere gli ultimi della serie.
E' questo il mio ricordo delle frittelle di pasta di pane, un ricordo che per me è più vivo della cena di questa sera.

domenica 25 novembre 2007

25 novembre

In apparenza , quello che resta sono solo dei puntini rossi sul dorso delle mani e il senso di stupore e disagio per gli attimi freddi di una vita che non conosci. Ma anche la dolce, consolatoria certezza di non essere soli nella vita.

giovedì 15 novembre 2007

E' ancora tempo




per le buonissime Fave dei morti

225 g mandorle sbucciate
100 g farina
100 g di zucchero
50 g di burro
1 rosso d'uovo
la buccia di 1/2 limone grattugiata
estratto di vaniglia
rosolio alla cannella q.b.


Tritate grossolanamente le mandorle (devono risultare grandi come mezzo chicco di riso) e mescolatele con lo zucchero.
Aggiungete poi tutti gli altri ingredienti aggiungendo abbastanza rosolio in modo che l'impasto risulti morbido. Accendete il forno a 180 gradi e foderate una teglia con un foglio di carta oleata.
Stendete la pasta su una superficie infarinata, formate dei cilindretti e schiacciateli col palmo della mano in modo da ottenere delle picole fave spesse circa 1 cm. Ne verranno circa 60-70 pezzi. Spennellateli con il rosso d'uovo e fate cuocere per circa 10-15 minuti a 180° finché saranno diventate di un bel colore biondo facendo attenzione a che non si coloriscano troppo.

Facciamoci gli arancini nostri


500 grammi di riso, 200 grammi di carne di vitello tritata, 100 grammi di carne di pollo tritata, 50 grammi di parmigiano grattugiato, 2 uova, cipolla, salvia, pane grattugiato, farina, brodo, strutto o olio extra vergine di oliva, noce di burro, sale. 

Lavate ed affettate la carne di pollo. In una casseruola mettete il burro, una piccola cipolla tritata e aggiungete una foglia di salvia. Aggiungete la carne di vitello e di pollo e quando sono insaporite aggiungete il sale. Lasciate poi cuocere a fuoco lento per quindici minuti ed intanto cuocete il riso in un litro di brodo , in modo che l'assorba completamente. Versate il riso una volta cotto in una terrina e dopo averlo mescolato aggiungete il formaggio e le due uova e lasciate che diventi tiepido. 
Prendete un pugno di riso, fate una piccola concavità al centro e aggiungete un po’ di sugo di carne preparato 
Coprite il tutto con un’altra cucchiaiata di riso e premendo tra le mani date al composto la forma di una piccola arancia, da cui questo piatto prelibato prenderà il nome. Continuate a fare così fino alla fine del riso: passate gli arancini dapprima nella farina, poi nell’uovo battuto salato, ed infine nel pane grattato. Friggeteli quindi in abbondante olio ben caldo. Come ultima operazione scolateli su della carta assorbente , disponeteli su un piatto e serviteli caldissimi.

Una variante : gli arancini di riso al formaggio:

Ingredienti: 500 grammi di riso, 200 grammi di mozzarella, 50 grammi di pecorino, 30 grammi di burro, 3 uova, brodo di carne leggero, pane grattato, olio extra vergine di oliva, sale e pepe.

Procedimento: Cuocete il riso in un litro di brodo, non molto salato. Quando il riso sarà finalmente cotto il brodo dovrà essere completamente assorbito. Adesso aggiungete il pecorino, il burro ed un uovo e poi lasciate raffreddare. Procedete poi come per la ricetta precedente mettendo nell’arancino un pezzettino di mozzarella.

Crostata di ricotta


Crostata di ricotta

Burro 120 g 
Farina 200 g 
Zucchero 100 g 
Uova intere 3
Tuorlo 1 
Marsala 1 cucchiaio 
Ricotta 500 g
Uva sultanina 
50 g Limone
scorza grattugiata 1
Pinoli 1 cucchiaio


Mettete il burro a pezzetti con la farina 60g di zucchero il marsala e il tuorlo d’uovo nella viotola dell'impastatrice e quindi impastare bene il tutto sino a ottenere un composto omogeneo. Lasciate riposare la pasta in frigorifero per 15 minuti avvolta nella pellicola. Poi con 3/4 di impasto foderate una tortiera imburrata e passate in forno a 170 ° C per 15 minuti. Nel frattempo, in una terrina, lavorate la ricotta con lo zucchero rimasto, aggiungete l’uvetta sultanina, i pinoli, i tuorli , il succo e la scorza di limone grattugiata. Montate i bianchi a neve ferma, incorporateli delicatamente all’impasto e versate il tutto nel guscio della torta. Con la pasta tenuta da parte formate delle strisce e distribuitele a rete sopra la preparazione. Passate tutto in forno caldo (180°C) per circa 40 minuti o finché la pasta risulterà ben cotta. Cospargetela con zucchero a velo e servite la torta fredda accompagnandola a piacere con della salsa di cioccolato.

martedì 13 novembre 2007

Torniamo sulla terra e..




...addentiamo un pezzo di pane.
Riporto un articolo molto interessante.
Durante la cottura l’impasto subisce diverse trasformazioni, fisiche, chimiche e biologiche che permettono il miracolo del pane.
Consideriamo i fenomeni che avvengono all’interno e sulla superficie dell’impasto durante la cottura del pane.
La temperatura del forno generalmente oscilla fra i 220°C e i 275°C, i tempi di cottura variano anch’essi in funzione delle dimensioni e del tipo di pane.
Quando l’impasto viene infornato si ha una notevole evaporazione verso l’esterno con un notevole consumo di calorie e che, malgrado l’elevata temperatura del forno e la buona conducibilità della pasta dovuta alla sua ricchezza in acqua, rallenta la crescita della temperatura sulla superficie della pasta, la protegge dal calore e facilita il suo sviluppo. In questa fase la temperatura al’’interno dell’impasto si aggira sui 30 – 40 °C.
Contemporaneamente si ha un periodo di fermentazione intensa che scatena un aumento della produzione di anidride carbonica seguita da una forte dilatazione: ne segue una crescita in volume e uno sviluppo notevole dell’impasto.
Sulla superficie del pane, prima di infornare, vengono praticate delle incisioni che facilitano la fuoriuscita di gas, accrescono lo sviluppo in volume e migliorano l’aspetto esteriore del pane cotto, grazie alle spaccature regolari che ne risultano e favoriscono l’alveolatura.
Queste azioni vanno avanti fino a quando, sotto l’effetto del calore, la temperatura interna dell’impasto non raggiunge i 50-60 °C, temperatura alla quale i lieviti vengono distrutti e non si ha più produzione di anidride carbonica. Si ha però una notevole attività enzimatica ed inizia la compattazione dell’amido.
Fra i 60 e i 70 °C la pasta, ancora plastica, sotto la spinta combinata del vapore d’acqua che si forma e della dilatazione dovuta all’anidride carbonica continua a svilupparsi ancora.
Si ha contemporaneamente aumento di calore verso il centro dell’impasto che porta alla gelificazione dell’amido e alla coagulazione del glutine. Questi eventi portano, a partire da 70 °C alla fine della plasticità della pasta e al suo sviluppo.
La gelatinizzazione dell’amido fino alla temperatura di 60 °C comporta una idratazione esterna dei granuli.
Fra i 60-70 °C si ha un rigonfiamento limitato dovuto alla rottura di legami deboli e/o dei siti amorfi facilmente accessibili.
Tra gli 80-90 °C si ha un rigonfiamento rapido e intenso dovuto alla disgregazione dei siti meno accessibili e con forti legami (micelle).
Dopo i 90 °C si ha la frammentazione dei granuli d’amido fortemente rigonfiati con dissoluzione e diffusione delle molecole lineari (amilosio).
Intorno ai 100 °C si ha un’intensa evaporazione dell’acqua, inizia la formazione della crosta in superficie e termina la gelatinizzazione dell’amido.
Durante la cottura si ha, oltre all’evaporazione dell’acqua anche la volatilizzazione di tutte quelle sostanze che hanno una temperatura di evaporazione inferiore a 100 °C, quali l’alcool etilico e tutte quelle sostanze aromatiche che si formano sia nella fermentazione che nella cottura.
La volatilizzazione dipende, oltre che dalla concentrazione di queste sostanze nel pane, dalla capacità dell’impasto di trattenere i gas e cioè dalla sua impermeabilità e quindi dall’elasticità della maglia glutinica.
Fra i 120 e i 140 °C si ha la formazione delle destrine nella crosta che inizia ad assumere colore dorato.
La forte evaporazione della parete esterna diminuisce man mano che si forma la crosta e il bisogno di calore diminuisce. La crosta si forma, si ispessisce, si ha la caramellizazione degli zuccheri residui, presenti nella pasta, e iniziano le reazioni di Maillard che coinvolgono zuccheri e proteine e che provocano la sua colorazione.
La temperatura interna del pane, durante la cottura, di fatto non supera i 100 °C mentre la temperatura esterna della crosta ha un calore medio di 225 °C.
La differenza di temperatura fra la superficie e l’interno dell’impasto porta l’amido a comportarsi in maniera differente: all’interno la temperatura più bassa rende l’amido collante, a struttura colloidale formando la mollica, all’esterno le temperature più alte provocano il processo di destrinizzazione e di caramellizzazione degli zuccheri presenti.
Dai 180°C si producono reazioni di imbrunimento non enzimatico di Maillard e di caramellizzazione che creano progressivamente la crosta. Tutte queste reazioni sono accompagnate dalla produzione di composti volatili caratteristici, responsabili dell’aroma del pane.
Riscaldati al di là del loro punto di fusione gli zuccheri presenti sulla superficie dell’impasto danno dei prodotti di degradazione colorati, di sapore acido o leggermente amaro e astringente (5idrossimetil,2furaldeide) e una serie di composti carbonilici, aldeidi e chetoni, di odore etereo gradevole.
Per quanto riguarda le reazioni di Maillard, in un primo tempo si forma un composto di addizione tra uno zucchero riduttore e il gruppo amminico di un amminoacido. Attraverso una serie di reazioni questo composto dà luogo a 1-ammino-2-desossicetoso che, a sua volta, perdendo tre molecole d’acqua e scindendosi porta a dei composti furfurilici molto profumati.
La reazione di Maillard può dare origine a dei composti eterociclici azotati, delle pirazine ad esempio, che possiedono degli odori molto intensi.
A queste trasformazioni di base si aggiungono altri fattori che influiscono sul gusto finale del pane.
Così, la ricchezza in proteine, lo stato enzimatico della farina, la composizione dell’impasto, lo stato e lo sviluppo della pasta al momento dell’infornamento, il tipo di forno, la presenza o meno di vapore d’acqua, il tempo di cottura sono parametri che hanno azione sulla natura della crosta, sul suo spessore, sulla sua colorazione, la sua croccantezza, sulla sua friabilità e fragilità.
Una farina povera di proteine o di enzimi, un errore nella temperatura del forno daranno una crosta pallida e relativamente spessa, spesso dura e, a causa di una caramellizzazione e una Maillard insufficiente, il gusto del pane e della crosta saranno penalizzati, meno gradevoli.
Al contrario un’impasto ricco di proteine o una temperatura del forno troppo alta daranno un eccesso di colore, una costa più sottile e la tendenza a rammollire. Il gusto del pane sarà più pronunciato ma la crosta sarà meno croccante.
E’ importante sottolineare quanto il calore abbia influenza sulla formazione della crosta e sul suo spessore e quanto questo si rifletta sul gusto del pane.
La presenza di vapore d’acqua nella camera di cottura del forno al momento dell’infornamento ha molta influenza sul sapore della crosta del pane. Non si deve iniziare la cottura se il contenuto del vapore non è almeno del 75%. Il vapore condensa sulla superficie del pane a causa della differenza di temperatura fra il forno (220°-250°) e l’impasto (25°-30°), formando una sottile pellicola. Questa pellicola rende la pasta più morbida e crea un’ulteriore barriera alla fuoriuscita dell’anidride carbonica, permette un maggiore sviluppo dell’impasto conferendo al pane un volume maggiore.
La pellicola d’acqua formatasi dalla condensazione del vapore rievapora lentamente rallentando i fenomeni chimici superficiali e permettendo la formazione di una crosta meno dura e più sottile.
Poiché le reazioni di Maillard e di caramellizzazione sono influenzate dall’umidità dell’ambiente si può osservare un colore diverso della crosta a seconda che la cottura sia stata effettuata o meno in presenza di vapore.
La formazione e la cottura della mollica dipendono anch’esse dall’effetto del calore sulla pasta.
Dopo essersi sviluppata sotto l’azione della dilatazione dell’anidride carbonica che imprigiona, la pasta raggiunge una temperatura che provoca la gelificazione dell’amido e la coagulazione del glutine e questo dà all’impasto una struttura definitiva.
Assieme a questa trasformazione e ad una temperatura un po’ più alta le amilasi presenti vengono distrutte e la temperatura cresce ancora fino alla fine della cottura per stabilizzarsi attorno ai 100 °C.
Logicamente la qualità del pane dipende poi da tutta una numerosa serie di variabili che vanno dalla qualità della farina, al tipo di lievito usato, al tipo di impastamento e così via.
Quello che avviene durante la cottura è strettamente correlato a tutte queste variabili oltre che a tutti i parametri qui esaminati.

Ogni tanto, in giorni come questo...



...mi ritorna nella mente questa poesia , che è sempre lì in un angolo e a volte si affaccia, quando mollo i lucchetti , quando i colori e gli umori si mescolano e per un momento mi lascio andare . Una poesia è come una canzone, dura un attimo ma in quell'attimo non sai più chi sei , che fai, dove vai ...Poi per fortuna tutto finisce e la vita torna a scorrere sopra e sotto i ponti.

Posso scrivere i versi più tristi questa notte.

Scrivere, ad esempio : La notte è stellata,
e tremolano, azzurri, gli astri in lontananza.

Il vento della notte gira nel cielo e canta.

Posso scrivere i versi più tristi questa notte.
Io l’amai, e a volte anche lei mi amò.

Nelle notti come questa la tenni tra le mie braccia.
La baciai tante volte sotto il cielo infinito.

Lei mi amò, a volte anch’io l’amavo.
Come non amare i suoi grandi occhi fissi.

Posso scrivere i versi più tristi questa notte.
Pensare che non l’ho. Sentire che l’ho perduta.

Udire la notte immensa, più immensa senza lei.
E il verso cade sull’anima come sull’erba la rugiada.

Che importa che il mio amore non potesse contenerla.
La notte è stellata e lei non è con me.

E’ tutto. In lontananza qualcuno canta. In lontananza.
La mia anima non si rassegna ad averla perduta.

Come per avvicinarla il mio sguardo la cerca.
Il mio cuore la cerca, e lei non è con me.

La stessa notte che fa biancheggiare gli stessi alberi.
Noi quelli di allora, più non siamo gli stessi.

Più non l’amo, è certo, ma quanto l’amai.
La mia voce cercava il vento per toccare il suo udito.

D’altro. Sarà d’altro. Come prima dei miei baci.
La sua voce, il suo corpo chiaro . I suoi occhi infiniti.

Più non l’amo, è certo, ma forse l’amo .
E’ così breve l’amore, e così lungo l’oblio.

Perché in notti come questa la tenni tra le mie braccia,
la mia anima non si rassegna d' averla perduta.

Benché questo sia l’ultimo dolore che lei mi causa
e questi siano gli ultimi versi che io le scrivo.

Pablo Neruda

sabato 10 novembre 2007

Risotto allo champagne


RISOTTO FUNGHI E CHAMPAGNE

350 di riso carnaroli
750 ml champagne brut (va bene anche un buon vino bianco secco)
100 g porcini freschi
4-5 cucchiai di olio extra vergine di oliva
50 g funghi secchi
30 g di burro + 20g
1 piccola cipolla fresca
1 spicchio d'aglio
50 g di parmigiano grattugiato
1 spicchio di aglio
un ciuffo di prezzemolo
sale qb
Pulite i porcini e tagliateli a pezzettoni , saltateli in padella con l'olio, uno spicchio di aglio piccolo e un ciuffo di prezzemolo tritato. Togliete l'aglio e aggiustate di sale una volta cotti.
Tritate finemente (io uso il macinacaffè) i funghi secchi , ripuliti da eventuali impurità, fino ad ottenere una polvere e unitela ad un trito di cipolla, aglio e al burro. Mettete tutto in una pirofila a bordi alti e fate cuocere nel forno a microonde , CON IL COPERCHIO, per 2 minuti a 3/4 di potenza , mescolando una volta durante la cottura.
Aggiungete il riso e 50 cl di champagne , mescolate e fate cuocere SCOPERTO per 3 minuti a 3/4 di potenza.
Versate il resto dello champagne ,il sale, mescolate e fate cuocere COPERTO per 15 minuti a 3/4 di potenza.
Togliete dal forno , aggiungete il parmigiano e il resto del burro, aggiustate di sale se occorre, mescolate di nuovo e lasciate riposare coperto per alcuni minuti prima di servire. Guarnite il riso con i funghi freschi trifolati.

martedì 6 novembre 2007

Pane con le noci e il formaggio


Questo è il pane ideale da fare nei primi freddi giorni dell'autunno. Un bel pane caldo da portare in tavola ci consola per la mancanza del sole e rende la gente più vicina e disponibile. Mettete poi assaggini di formaggi e salumi, mettete ciotoline di salse , di quelle che si preparano d'estate , oppure una bella fondue bourguignonne e vedrete che una semplice cena diventa una festa.

kg 1 farina di grano duro per panificazione
kg 1 farina manitoba
L 0,900 latte
g 300 uova
g 80 lievito
g 300 burro
g 40 sale
g 10 malto
g 200 parmigiano grattugiato
g 500 noci macinate finemente

Lavorare ad una temperatura di 24 ° circa.
Impastare tutti gli ingredienti per 18-20 minuti aggiungendo il sale a metà tempo.
Dividere l'impasto in due parti e incorporare alla 1°parte il parmigiano grattugiato fino al suo
assorbimento e alla 2° parte le noci macinate fino al loro assorbimento. Lasciare riposare gli impasti per
circa 30 minuti, allungare a filone, formare una treccia a 2 filoni (uno per tipo) e deporre nello stampo rettangolare tipo plumcake. Lasciare lievitare fino al raggiungimento dei ¾ dello stampo poi pennellare con uovo.
Infornare a una temperatura di 210 °C circa.
Il tempo di cottura è determinato dalla pezzatura.
Queste sono dosi "industriali " ma si possono ridurre a piacere.

lunedì 5 novembre 2007

Damine per il the



PASTA SABLE’ AL CIOCCOLATO
g 300 burro
g 100 TPT
g 150 zucchero a velo
g 2,5 sale
g 2,5 baccello di vaniglia in polvere
g 100 uovo intero
g 500 farina 0 biscotto
g 50 cacao in polvere

Impastare il burro assieme al TPT (tant pour tant =zucchero e farina di mandorle in uguale quantità), aggiungere lo zucchero a velo setacciato, il sale e la vaniglia, unire le uova una alla volta e per ultimo la farina ben setacciata con il cacao. Conservare in frigo coperta fino al momento di utilizzo.

PASTA SABLE’ ALLA VANIGLIA
g 300 burro da tavola
g 200 TPT
g 100 zucchero a velo
g 2,5 sale
g 2,5 baccello di vaniglia in polvere
g 100 uovo intero
g 500 farina 0 biscotto

Impastare il burro morbido assieme al TPT, unire lo
zucchero a velo setacciato, il sale e la vaniglia,
creare un impasto uniforme. Aggiungere le uova una
alla volta e per ultimo la farina precedentemente
setacciata. Conservare la pasta in frigo coperta sino al
momento dell’utilizzo.

Distendere le due paste in rettangoli di 1 cm di altezza su silpat e farle riposare in frigo per 24 ore. Unire i vari strati di pasta , uno bianco uno nero, intercambiando i due impasti sino a fare 4 strati. Farla riposare in frigo in modo da
poterla un po’ indurire e tagliarla poi a strisce di circa cm.1. Con l’aiuto di un pennello bagnato nell’uovo unire 3 strisce intercambiando il colore. Conservare in frigo . Al momento dell'utilizzo tagliare fettine trasversali, che appariranno a scacchi, e cuocere i biscotti su teglie ricoperte di carta forno a 180°C per 20-25 minuti.

domenica 4 novembre 2007

Pasta per decori






kg 1,100 farina
g 500 albume

Ecco un modo, utile e molto divertente ,per utilizzare gli albumi avanzati.
Impastate la farina con gli albumi fino ad ottenere una pasta ben omogenea .
Con questa pasta si possono fare decorazioni come fiori, spighe,grappoli d'uva, cestini...
Non va assolutamente impiegata per altri usi.
Dopo aver approntato la decorazione si fa cuocere subito a 200 °C.
E' una pasta facile da fare e da lavorare ma si secca facilmente , quindi se si vuole conservare è necessario ricoprirla con la pellicola e va mantenuta in frigo ( si mantiene per 3 giorni).
Una volta cotta invece ha una lunga conservazione.

Biscottini al sesamo




Ho montato ben bene 250 g di burro con 350 g di zucchero fine di canna e 140 g di miele di acacia (va bene anche di tiglio) , poi ho aggiunto poco alla volta 200 g di tuorli e 120 g di sesamo . A questo impasto ho incorporato 120 g di mandorle tritate , 500 g di farina 00 miscelata e setacciata insieme a 400 g di fecola, 10 g di sale fino e 10 g di cannella in polvere.
Ho versato questo composto in teglie foderate con carta forno e ho fatto rassodare al freddo , poi ho tagliato i biscotti con la rotella liscia , li ho lucidati con l'uovo e li ho cotti in forno a 180° per 20 - 25 minuti senza farli dorare troppo.
Buoni buoni, con the al latte sono il massimo.
Ovviamente si possono fare anche con metà dose.

venerdì 2 novembre 2007

Confettura di cipolle

700 gr di cipolle rosse di Tropea
120 gr di burro
150 gr di zucchero di canna
10 cl di aceto di Xeres
25 cl di vino rosso
5 cl di Cassis
1 pizzico di sale
1 pizzico di pepe bianco

Si fa sciogliere il burro con zucchero e sale in una pentola dal fondo spesso e si continua la cottura fino a che non scurisce.
Si versano le cipolle tagliate fini e si fanno cuocere a fuoco basso per 30 minuti, con coperchio.
Si aggiungono tutti i liquidi e cioè vino, aceto, Cassis + il pepe, si mescola e si fa cuocere, senza coperchio, fino a che il tutto non si sia addensato e asciugato, sempre mescolando ogni tanto.
Buona buona per accompagnare bolliti e formaggi stagionati.

giovedì 1 novembre 2007

Perché ?

*Perché la carne marinata ,oltre che più aromatica, diventa più tenera?
*Perché non si deve mettere la gelatina subito in frigo?
*Perché la maionese può impazzire?
*Perché il soufflé si gonfia?
*Perché un pizzico di sale aiuta a montare gli albumi?



* La carne è dura perché all'interno, fra le fibre muscolari, contiene collagene, il quale è formato da lunghe catene di aminoacidi che formano triple eliche ( come dei cordoncini, insomma).
Se si fa bollire la carne, l'acqua calda insinuandosi all'interno, riesce ad estrarre il collagene e più ne estrae e più la carne si fa tenera.
La stessa cosa avviene con gli acidi , quindi mettendo a bagno la carne nel vino, nell'aceto o nel limone ( anche se non puri ) il collagene passa nella marinata e la carne diventa più morbida.

* Anche nella gelatina , che è fatta con grasso animale, è presente il collagene .
Quando si fa riscaldare, le triple eliche si "dipanano" ( e quindi la gelatina si fa liquida) per poi riassociarsi con il successivo raffreddamento ( e la gelatina ritorna solida ).
Ma se il raffreddamento è troppo brusco, ad esempio mettendo la gelatina nel frigo, le eliche si riassociano in modo imperfetto e la gelatina sarà meno stabile ( barcolla e tende a sciogliersi) di quella fatta raffreddare lentamente.

* Si sa che acqua e olio non si mescolano.
Lo farebbero se ci fossero delle molecole intermedie a fare da tensioattivi come il sapone , ad esempio. Ma la maionese col sapone non è buona.
Tanto bene nel tuorlo dell'uovo , oltre all'acqua
(che è circa la metà del suo peso) c'è anche la lecitina che è un tensioattivo.
Ecco dunque che, quando sbattiamo con la frusta,l'olio si fa in minutissime goccioline le quali rivestite dalla lecitina possono circondarsi da molecole d'acqua . Un insieme di questi micro-sistemi costituisce un colloide, come appunto è la maionese, e diventa denso (una via di mezzo tra liquido e solido).
Ma se gli ingredienti sono a diversa temperatura o se l'olio è troppo , ecco che le goccioline di olio ( nude) si uniscono tra loro , separandosi dall'acqua.
Ecco perché si dice che per recuperare una maionese impazzita basta aggiungere un goccio d'acqua e sbattere di nuovo.
Io di solito unisco un'altro uovo ( se uso il frullatore) o riparto da un tuorlo aggiungendo poco a poco la maionese impazzita , se la faccio a mano.
L'importante è dunque riottimizzare il rapporto
olio/acqua.

* Il soufflé cresce di volume perché l'aria contenuta nell'albume montato si dilata per effetto del calore ( come se ci fossero dei palloncini che si gonfiano).
Questo però non è sufficiente a spiegare l'enorme aumento di volume che si ha nel soufflé ( 100%) infatti l'aria contribuisce solo ad un aumento del 20-30 %. Il resto del lavoro lo fa il vapore acqueo che fa aumentare
le bolle fino al doppio.
Poi la coagulazione delle proteine dell'uovo, dovuta al calore, intrappola stabilmente queste bolle nell'impasto.
Ecco perché , se si estrae il soufflé troppo presto, quando ancora le proteine non sono ben coagulate, le bolle si sgonfiano e il soufflé si "siede".

* In questo caso il sale, i cui ioni si dispongono attorno agli atomi elettricamente carichi delle proteine dell'albume, ne facilita la coagulazione, rendendo le bolle più stabili e la "neve più ferma".
Lo stesso risultato si può ottenere anche con
gli acidi ( per cui si potrebbe aggiungere un po' di limone o aceto) ed avere bolle più stabili.
Sarà poi la temperatura ad irrigidire definitivamente la struttura e a bloccare l'aria all'interno delle bolle.
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Altri cioccolatini





Questi sono ripieni di confettura di fragole e sono deliziosi , con un guscio di cioccolato fondente.
Una volta versato il ripieno metto i cioccolatini a freddare in frigo, così che quando li chiuderò con altro cioccolato fondente temperato , questo si indurisce subito e non si mescola alla confettura.
Unico neo non si possono conservare a lungo , ma solo qualche giorno nel frigo.

Rocciata veloce



In Umbria, per i Santi , si fa la rocciata. E' una specia di strudel con ripieno di frutta secca e mele, ha origini antichissime e viene detto anche "attorta" , nello spoletino, perché qui si dà a questo dolce una forma a spirale e nel ripieno è presente anche l'alchermes. Possiamo dire che ogni famiglia ha la "sua" ricetta e le sue tradizioni in proposito , ma sempre rocciata è e quando si fa se ne fa sempre molta. Ricordo ceste di vimini piene di rocciata a casa di mia madre, ma lì tutto era fatto a livello industriale , basta pensare che per i morti si facevano 100 chili di pane ( cento ! ) da regalare agli abitanti del paese perché dicessero preghiere per i morti della nostra famiglia e per Pasqua si facevano le famose 100 ( cento! ) uova di pizza dolce per la Pasqua , che poi noi bambini mangiavamo a colazione e merenda per almeno un mese !
Anche io quando faccio la rocciata ne faccio sempre molta, che poi regalo a parenti ed amici , ma a volte quando a qualcuno di noi prende la voglia insana , ne faccio un pochino con un metodo facile e veloce, usando quel magico attrezzo che è il microonde ( attenzione : i microonde NON sono tutti uguali ! ne ho trovati a volte alcuni nei residence delle vacanze in cui non avrei nemmeno scaldato il latte...)

Allora

Rocciata veloce

E' uno dei miei dolci preferiti , adoro sia le mele che la frutta secca. Ti dico come farne una piccolina.
Metti nell'impastatrice 100 g di farina 00, 20 g di burro morbido, 1 uovo e impasta il tutto. Fai una palletta, infarinala bene e ponila a riposare in una ciotola chiusa, sopra a un po' di farina. Intanto sbuccia 2 mele non troppo grandi , falle a piccoli tocchetti ( come una bella nocciola) e chiudili ermeticamente in un'altra ciotola. Rompi a pezzi grossi 100 g di gherigli di noce e metti a bagno nel rum due pugnetti di uva secca . Trita 50 g di savoiardi e mescolali a 40 g di cacao amaro e 120 g di zucchero.
Ora stendi la pasta ( dopo averla impastata a mano con un po' di farina fino a che sia ben asciutta) come si fa per le tagliatelle, cercando di farla più sottile possibile, avvolgila sul rasagnolo e srotolala su un foglio di carta forno abbastanza grande o due, un po' sovrapposti.
Cospargi la sfoglia con i biscotti tritati, le mele , l'uvetta strizzata , le noci, lo zucchero misto al cacao, una spolverata di cannella in polvere e passa sopra a tutto un doppio filo di rum e di olio.
Arrotola la sfoglia da una parte fino ad arrivare a metà cerchio, poi arrotola dall'altra parte fino a fare un doppio tubo.
Chiudi le estremità e fa' in modo che questo doppio tubo stia sopra la carta forno e incartalo come fosse un regalo. Appoggialo sul piatto crisp e cuocilo con funzione crisp per 13 minuti. Aspetta che si freddi prima di aprire il pacco e poi spolveralo con lo zucchero a velo setacciato.
Se il "pacco" fosse troppo lungo per il piatto crisp , lo puoi incurvare per farcelo entrare.

Crostata al microonde




Semplice e naturale.

Per la frolla

300 gr di farina 00
100 gr di burro morbido
100 gr di zucchero
1 uovo + 2 tuorli
buccia grattugiata di un limone

Metti tutto nell'impastatrice ( basta anche un semplice robot con le lame di plastica , ma anche le manine vanno bene) , stendi la pasta tra due fogli di carta forno dandogli la forma del piatto crisp ( deve essere leggermente più grande) e appoggiala sul piatto crisp lasciando il foglio di sotto. Rimbocca la pasta tutt'attorno a formare un cordone , ritaglia la carta in eccesso e cuoci con funzione crisp per 5 minuti e 30 '' circa ( si deve vedere una leggera doratura centrale). Fai freddare la base della crostata poi trasportala sul piatto da portata ( qui è su un trasporta torte) e ricoprila con crema pasticcera (tanta) che guarnirai con frutta a piacere , fragole, frutti di bosco , pesche ecc.

Pesche sciroppate al microonde

Ho preso 5 pesche percocche ( alcuni le chiamano cotogne, sono un po' pelosette e molto profumate) , le ho spaccate a metà e ho tolto la buccia .
Poi le ho messe in una pirofila ( 20 cm di diametro e 8 di altezza ) disponendole sul fondo , leggermente sovrapposte l'una sull'altra, lasciando un vuoto nel centro, le ho coperte con 5 hg di zucchero ed ho aggiunto un cucchiaio di succo di limone e mezza fialetta di vaniglina.
Ho messo il COPERCHIO alla pirofila e poi in forno a 750 W per 10 minuti ( lo sciroppo di zucchero che si forma comincia a bollire verso la fine di questo tempo).
Ho tolto il coperchio e mescolando con un cucchiaio ho fatto sciogliere quel po' di zucchero solido che era rimasto sul fondo.
Ho rimesso la pirofila nel forno SENZA il coperchio , sempre a 750 W , fino a che si è rialzato il bollore e poi ho fatto cuocere per un altro minuto .
Ho tolto la pirofila dal forno , ho rimesso il coperchio e ho lasciato freddare le pesche.
Se si vogliono invasare si mettono ancora bollenti nei vasetti sterilizzati ( non troppo accostate) ,coprendole con lo sciroppo, poi di nuovo nel forno a 750 W fino a che si alza il bollore e si chiudono i vasetti con il tappo a vite che fa il sotto vuoto.
Ps: Se non si invasano , lo sciroppo ottenuto si può utilizzare per sciroppare altre pesche.